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Cavaliere, Erede, Principe
Morgan Rice


Di Corone e di Gloria #3
Morgan Rice si presenta con quella che promette essere un’altra brillante serie, immergendoci in un fantasy di valore, onore, coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è risuscita un’altra volta a produrre un forte gruppo di personaggi che ci fanno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la collezione di tutti I lettori che amano i fantasy ben scritti. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (approposito di L’Ascesa dei Draghi) CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE è il terzo libro #3 nella serie epic fantasy di Morgan Rice DI CORONE E DI GLORIA, che inizia con SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1) . La diciassettenne Ceres, una bellissima ma povera ragazza proveniente dalla città di Delo nell’Impero, si trova da sola in mare, diretta verso la mitica isola Oltrenebbia, e verso la madre che non ha mai incontrato. È pronta a completare il suo allenamento, a capire finalmente il proprio potere e a diventare la guerriera che è destinata ad essere. Ma sua madre sarà lì ad accoglierla? Le insegnerà tutto quello che deve sapere? E le rivelerà tutti i segreti sull’identità di Ceres?A Delo, Tano, pensando che Ceres sia morta, si trova sposato con Stefania e immerse sempre più profondamente in una corte da cui non può fuggire e in una famiglia che odia. Si trova anche nel mezzo di una rivoluzione che sta insorgendo e che culmina in uno sfrontato attacco all’arena. In qualità di persona che potrebbe fermarla – o sostenerla – dovrà decidere se mettere a rischio la propria vita. Con il regno che sta collassando, gli avversari che si muovono da ogni parte e i tentativi di assassinio sempre più abbondanti a corte, Tano non può sapere di chi fidarsi. È incastrato in un gioco di pedine e re, di traditori e regine, e potrebbe essere Stefania, dopotutto, a cambiare tutto. Ma ci sono una seria di tragici malintesi e l’amore che sembrava destinato potrebbe scivolare via dalle loro mani. CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE narra il racconto epico di un amore tragico, vendetta, tradimento, ambizione e destino. Pieno zeppo di personaggi indimenticabili e azione mozzafiato, ci trasporta in un mondo che non dimenticheremo mai, facendoci innamorare ancor più del genere fantasy. Un fantasy pieno zeppo d’azione che di sicuro i precedenti fan di Morgan Rice apprezzeranno, insieme agli amanti di opere come Il Ciclo dell’Eredità di Christopher Paolini… Coloro che adorano leggere romanzi fantasy per ragazzi divoreranno quest’ultima opera di Morgan Rice e ne chiederanno ancora. The Wanderer, A Literary Journal (parlando di L’Ascesa dei Draghi) Il quarto libro #4 de DI CORONE E DI GLORIA è di prossima uscita!







CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE



(DI CORONE E DI GLORIA--LIBRO 3)



MORGAN RICE



TRADUZIONE ITALIANA

A CURA DI



ANNALISA LOVAT


Morgan Rice



Morgan Rice è l’autrice numero uno e campionessa d’incassi della serie epic fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO che comprende dodici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende tre libri; della serie epic fantasy RE E STREGONI che comprende sei libri e della nuova serie epic fantasy DI CORONE E DI GLORIA. I libri di Morgan sono disponibili in formato audio o cartaceo e ci sono traduzioni in 25 lingue.



Morgan ama ricevere i vostri messaggi e commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com/) per iscrivervi alla sua mailing list, ricevere un libro in omaggio, gadget gratuiti, scaricare l’app gratuita e vedere in esclusiva le ultime notizie. Connettetevi a Facebook e Twitter e tenetevi sintonizzati!


Cosa dicono di Morgan Rice



“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”

--Books and Movie Reviews

Roberto Mattos



“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini... Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”

--The Wanderer, A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)



“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrativo della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--Publishers Weekly


Libri di Morgan Rice



COME FUNZIONA L’ACCIAIO

SOLO CHI LO MERITA (Libro #1)



DI CORONE E DI GLORIA

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1)

FURFANTE, PRIGIONIERA, PRINCIPESSA (Libro #2)

CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE (Libro #3)

RIBELLE, PEDINA, RE (Libro #4)



RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)

L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)

IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)

LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)

IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)

LA NOTTE DEI PRODI (Libro #6)

L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)



LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)

ARENA TRE (Libro #3)



VAMPIRO, CADUTO

PRIMA DELL’ALBA (Libro #1)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

PROMESSA (Libro #6)

SPOSA (Libro #7)

TROVATA (Libro #8)

RISORTA (Libro #9)

BRAMATA (Libro #10)

PRESCELTA (Libro #11)

OSSESSIONATA (Libro #12)


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Audible (http://www.audible.com/pd/Sci-Fi-Fantasy/A-Quest-of-Heroes-Audiobook/B00F9DZV3Y/ref=sr_1_3?qid=1379619215&sr=1-3)

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Copyright © 2016 by Morgan Rice. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image Copyright Captblack76, used under license from Shutterstock.com.


INDICE



CAPITOLO UNO (#uf87a4a08-af3e-5e87-9d21-a26d3ea212a7)

CAPITOLO DUE (#ud8946ea9-3e5c-55bc-bfb3-71cc796a4273)

CAPITOLO TRE (#ue12f13c7-a9b0-5c23-97b8-03654741e1a7)

CAPITOLO QUATTRO (#u66f7e57a-1b0e-589e-bb60-33a6e0a30619)

CAPITOLO CINQUE (#u5c479d5c-7b54-5930-9918-9b3a5763a4dc)

CAPITOLO SEI (#ufb48f9d1-748c-5bfd-9bb7-0fb8d7cdd7f2)

CAPITOLO SETTE (#u8efd22c5-98f3-5906-b735-2ea8b9629414)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)




CAPITOLO UNO


Anche senza tutti i nobili di Delo a guardarlo, Tano si sarebbe sentito nervoso come ogni sposo nel giorno del suo matrimonio. Si trovava davanti all’altare preparato nel più grande salone da banchetto del castello e in qualche modo riusciva a stare perfettamente fermo, ma solo perché il suo allenamento da soldato lo tratteneva dal mostrare qualsiasi genere di paura. Lì in piedi davanti a tutti sentiva lo stomaco attorcigliarsi per la pressione.

Tano si guardò attorno mentre aspettava la sua sposa. Il salone era inondato di sete bianche e brillava di diamanti: c’era a malapena una superficie che non luccicasse. Addirittura i servitori che si occupavano dei nobili indossavano abiti che avrebbero umiliato qualsiasi mercante. E per quanto riguardava i nobili stessi, oggi sembravano essere usciti direttamente dal racconto di un bardo, vestiti di seta e velluto e carichi di oro e argento.

Per Tano era anche troppo, ma a dire il vero non aveva avuto voce nei preparativi. I reali di Delo avevano preparato il matrimonio che il re e la regina avevano deciso, e qualsiasi cosa non fosse perfetta avrebbe irritato la sua sposa. Si girò e li vide: re Claudio e la regina Atena sedevano insieme sui troni di legno massiccio ricoperti di foglia d’oro. Si mostravano fieri, ovviamente deliziati dalla sua decisione di aver accettato la sposa scelta da loro per lui.

Il sommo sacerdote, vestito con una tunica che rifletteva i raggi del sole, era in piedi accanto a lui. Sembrava un uomo benevolo e Tano, sentendosi piГ№ solo che mai, avrebbe voluto prenderlo da parte e chiedergli: Cosa faresti se non fossi sicuro di quale fosse il tuo posto?

Ma non poteva.

Non si trattava solo di essere nervoso per il matrimonio. C’erano così tante altre cose. C’era il fatto che ad Haylon i ribelli contavano su di lui perché li aiutasse a liberare l’Impero. Quel pensiero portò un lampo di determinazione, perché lui li avrebbe aiutati, a qualsiasi costo. Eppure si trovava in quel salone, circondato dai suoi nemici.

C’era anche il fatto che Lucio era lì, in piedi in un angolo, vestito con i paramenti regali viola e d’argento, intento ad adocchiare le ragazze della servitù. Tano dovette trattenersi per non andargli vicino e strangolarlo a mani nude.

E poi c’era il pensiero che mai l’avrebbe abbandonato:

Ceres.

Quello portava con sГ© una punta di dolore che anche adesso lo faceva sentire come se il petto potesse esplodergli. Stentava ancora a credere che fosse morta e sparita per sempre, perduta in una nave prigione mentre lui stava ad Haylon. Il solo pensiero minacciava di trascinarlo nel buio che lo aveva consumato quando era venuto a sapere della notizia.

Stefania l’aveva tirato fuori da tutto questo. Era stata lei il punto luminoso, l’unica persona a Delo che gli avesse donato una qualche gioia quando lui avrebbe invece voluto farla finita, quando non era ancora in grado di immaginarsi una vita senza Ceres.

Non che non amasse Stefania: la amava. Si era innamorato di lei. Però non poteva permettersi di dimenticare Ceres. Era come se i due amori ancora coesistessero nel suo cuore. Non lo capiva del tutto. Perché Ceres era entrata nella sua vita solo per abbandonarlo subito dopo? Perché Stefania era arrivata in quel momento? Ceres era forse arrivata per prepararlo in qualche modo ad accettare Stefania? O forse le due non avevano nulla a che vedere l’una con l’altra?

La musica si impennò. Tano si girò e il suo cuore quasi si fermò nel vedere arrivare Stefania accompagnata dalla melodia della lira. Il cuore gli martellava nel petto mentre lei avanzava, tutti i nobili in piedi al suo passaggio, accompagnata da damigelle che gettavano petali di rosa e facevano tintinnare campanelli che cacciassero ogni mala sventura. Il suo abito era immacolato, di un bianco elegante che faceva apparire l’intera stanza come se fosse stata costruita attorno ad esso. Indossava una fascetta tempestata di diamanti sui capelli dorati, intrecciata con elegante grazia ad alcuni fiori. Il velo che le ricopriva il volto brillava di fili d’argento e piccoli zaffiri che specchiavano al di sotto l’ombra dei suoi occhi.

Tano sentì svanire le paure.

La guardò avvicinarsi, come se fluttuasse mentre attraversava la sala diretta verso l’altare. Si portò davanti e lui e Tano sollevò il velo per vederle il volto.

Gli si bloccò il respiro. Era sempre incantevole, ma oggi sembrava così perfetta che Tano stentava a credere che fosse vera. Rimase a fissarla così a lungo che quasi non sentì il sacerdote dare inizio alla cerimonia.

“Gli dei ci hanno dato molte feste e cerimonie in cui riflettere la loro gloria,” intonò il sommo sacerdote. “Di queste, il matrimonio è la più sacra, perché senza di esso non ci sarebbe la continuazione dell’umanità. Questo matrimonio è particolarmente glorioso, celebrato tra due grandi nobili del nostro regno. Ma è anche l’unione di un giovane uomo e una giovane donna che si amano profondamente e la cui felicità dovrebbe trovare posto in tutti i nostri cuori.”

Fece una pausa per permettere che le parole facessero presa.

“Principe Tano, farai in modo che il tuo braccio si leghi a quello di questa donna per sempre? Di amarla e onorarla fino a che gli dei non vi separino e di vedere le vostre famiglie unite?”

Tano prima avrebbe esitato, ma non lo fece ora. Allungò il braccio verso il sommo sacerdote con il palmo verso l’alto. “Sì.”

“E tu, Stefania,” continuò il sommo sacerdote, “farai in modo che il tuo braccio si leghi a quello di quest’uomo per sempre? Di amarlo e onorarlo fino a che gli dei non vi separino e di vedere le vostre famiglie unite?”

Il sorriso di Stefania era la cosa più bella che Tano avesse mai visto. Mise la propria mano sulla sua. “Sì.”

Il sommo sacerdote avvolse una fascia di stoffa candida attorno alle loro braccia, un gesto tradizionale e allo stesso tempo elegante.

“Legati nel matrimonio, siete una carne sola, un’anima sola, una famiglia sola,” disse il sommo sacerdote. “Che possiate essere per sempre felici insieme. Potete baciarvi.”

Tano non aveva bisogno di farselo dire. Si sentiva goffo legato a quel modo, ma era pur sempre uno dei piccoli divertimenti di una festa nuziale, e trovarono il modo. Tano assaporГІ le labbra di Stefania che premevano contro le sue, sciogliendosi in lei, e almeno per un momento potГ© mettere da parte tutte le preoccupazioni del mondo e stare solo con lei. Addirittura il pensiero di Ceres si dissolse, consumato dal contatto con Stefania.

Ovviamente doveva essere Lucio a spezzare quel momento magico.

“Bene, sono felice che sia finito,” disse nel silenzio della folla. “Possiamo dare inizio alla festa adesso? Ho bisogno di bere qualcosa!”



***



Se la cerimonia nuziale era stata opulenta, la festa che seguì fu spettacolare. Così tanto che Tano si trovò a chiedersi quanto fosse costata. Sembrava che vi fossero stati spesi metà dei profitti degli ultimi saccheggi, senza badare a spese. Sapeva che erano il re e la regina a pagare, come dimostrazione della felicità che provavano per quel matrimonio, ma quante famiglie della città si potevano nutrire con una cosa del genere?

Un’occhiata in giro gli fece vedere gli acrobati e i danzatori, i musicisti e i giocolieri che intrattenevano crocchie di nobili. I nobili danzavano in cerchi roteanti mentre il cibo veniva servito in quelle che a Tano sembravano montagne di impasti e carni dolci, ostriche e ricchi dolci.

Ovviamente c’era il vino, tanto che mentre i festeggiamenti continuavano, le cose divennero sempre più sfrenate. Le danze si fecero più rapide, con la gente che ruotava velocissima. Il re e la regina si erano già ritirati, come anche alcuni dei nobili più anziani, lasciando la stanza. Era come un segnale che i partecipanti alla festa potevano mettere da parte le loro inibizioni.

Al momento stavano facendo girare Stefania nella tradizionale danza di addio, dove la sposa ballava velocemente passando tra tutti i giovani uomini presenti nella stanza, prima di poter tornare alla fine tra le braccia di Tano. Tradizionalmente era un modo per la sposa per dare a vedere quanto fosse felice della sua scelta in confronto a tutti quelli che stava rifiutando. PiГ№ informalmente, questo dava ai giovani uomini una possibilitГ  di far mostra di sГ© davanti alle ragazze che stavano guardando.

Con sorpresa di Tano, Lucio non partecipГІ alla danza. Si era in parte aspettato che il principe facesse qualcosa di sciocco come cercare di rubarle un bacio. Del resto, se paragonato alla parte dove aveva tentato di far uccidere Tano, sarebbe stato un gesto relativamente innocuo.

Invece il principe avanzГІ verso di lui con il suo atteggiamento borioso mentre la danza era ancora in corso, facendosi spazio tra la folla con disinvolta arroganza, tenendo in mano il suo calice di vino pregiato. Tano lo guardГІ e cercГІ di trovare delle somiglianze tra loro. Erano entrambi figli del re, ma Tano non avrebbe mai potuto immaginare di poter in qualche modo essere come Lucio.

“È un matrimonio bellissimo,” gli disse Lucio. “Tutte le cose che mi piacciono di più: buon cibo, vino ancora migliore, un sacco di ragazze in giro per più tardi.”

“Bada a come parli, Lucio,” disse Tano.

“Ho un’idea migliore,” ribatté Lucio. “Perché non guardiamo entrambi quella adorabile sposa che sta girando tra così tanti uomini? Ovviamente, dato che si tratta di Stefania, potremmo fare una piccola scommessa su chi di noi ci andrà a letto.”

Tano serrò le mani a pugno. “Sei qui solo per creare problemi? Perché se è così, te ne puoi anche andare.”

Lucio sorrise. “E che impressione darebbe, tu che cerci di spingere fuori l’erede al trono dal tuo matrimonio? Non sarebbe una bella cosa.”

“Non per te.”

“Ricordati dove sei, Tano,” disse seccamente Lucio.

“Oh, io so dove sono,” rispose Tano con voce minacciosa. “Lo sappiamo entrambi, no?”

Le sue parole causarono un leggero scatto da parte di Lucio. Anche se Tano non l’avesse saputo, sarebbe stata una conferma: Lucio conosceva le circostanze della nascita di Tano. Sapeva che erano fratellastri.

“Al diavolo te e il tuo matrimonio,” disse Lucio.

“Sei solo geloso,” ribatté Tano. “So che volevi Stefania per te, e adesso invece sono io a sposarla. Sono io quello che non è scappato dall’arena. Sono io quello che ha effettivamente combattuto per Haylon. Sappiamo bene entrambi cos’altro sono. Quindi a te cosa resta, Lucio? Sei solo un teppista da cui la gente ha bisogno di essere protetta.”

Tano sentì lo scricchiolio del calice di vetro che Lucio stringeva in mano e che andò in pezzi.

“Ti piace proteggere gli ordini minori, vero?” disse Lucio. “Bene, pensaci: mentre stavi programmando un matrimonio io ho distrutto villaggi. Continuerò a farlo. Infatti mentre sarai ancora nel tuo letto nuziale domattina, io starò andando a dare una lezione ad un’altra accozzaglia di contadini. E non c’è niente che tu possa farci, chiunque tu ti creda di essere.”

Tano avrebbe voluto colpire Lucio. Avrebbe voluto colpirlo e continuare a colpirlo fino a che non fosse rimasto nulla se non un grumo sanguinante sul pavimento di marmo. L’unica cosa a trattenerlo fu il tocco di Stefania sul braccio. Gli si era avvicinata ora che la danza era giunta al termine.

“Oh, Lucio, hai versato il vino,” gli disse con un sorrise che Tano avrebbe tanto desiderato poter imitare. “Non va per niente bene. Dì a uno dei miei servitori di dartene ancora.”

“Me lo prendo da solo,” rispose Lucio con ovvia irritazione. “Mi hanno dato questo e guarda cos’è successo.”

Se ne andГІ a grandi passi e solo la mano di Stefania trattenne Tano dal seguirlo.

“Lascia perdere,” gli disse. “Ti ho detto che ci sono metodi migliori, e ci sono. Fidati di me.”

“Non può passarla liscia con tutto quello che ha fatto,” insistette Tano.

“No, ma vedila così,” gli disse. “Con chi preferiresti trascorrere la serata? Con Lucio o con me?”

Queste parole portarono il sorriso sulle labbra di Tano. “Con te. Decisamente con te.”

Stefania lo baciò. “Risposta giusta.”

Tano sentì la sua mano scivolare nella propria e si sentì tirare verso le porte. Gli altri nobili li lasciarono passare con occasionali risate alludendo a cosa sarebbe successo poi. Tano la seguì mentre Stefania faceva strada verso la loro stanza, aprendo la porta e dirigendosi verso le camere. Lì si voltò verso di lui e gli gettò le braccia al collo baciandolo con passione.

“Sei pentito?” gli chiese ritraendosi un momento. “O sei felice di avermi sposato?”

“Sono felicissimo,” la rassicurò Tano. “E tu?”

“È tutto come volevo,” gli rispose. “E sai cosa voglio adesso?”

“Cosa?”

Tano la vide allungarsi e il suo abito le cadde come un’onda lieve.

“Te.”



***



Tano si svegliò con i primi raggi del sole che filtravano attraverso le finestre. Accanto a lui poteva sentire la calda pressione della presenza di Stefania, un braccio attorno a lui mentre dormiva rannicchiata. Tano sorrise sentendo l’amore che lo colmava. Ora era più felice di quanto non fosse stato da molto tempo.

Se non avesse sentito il rumore dei finimenti e il nitrito dei cavalli, si sarebbe stretto a Stefania e si sarebbe riaddormentato, o l’avrebbe svegliata con un bacio. Ma si alzò in piedi e andò alla finestra.

Fece giusto in tempo per vedere Lucio che partiva dal castello alla testa di un gruppo di soldati a cavallo, i pennacchi che sventolavano al vento come se fosse l’impresa di alcuni cavalieri erranti piuttosto che un macellaio che si preparava ad attaccare dei villaggi indifesi. Tano lo guardò, poi riportò lo sguardo su Stefania che stava ancora dormendo.

In silenzio iniziГІ a vestirsi.

Non poteva stare da parte. Non poteva farlo neanche per Stefania. Lei aveva parlato di modi migliori per occuparsi di Lucio, ma di cosa si trattava? Servirgli educatamente del vino? No, Lucio doveva essere fermato, subito, e c’era solo un modo per farlo.

Silenziosamente e facendo attenzione a non svegliare Stefania, Tano scivolò fuori dalla stanza. Corse subito alle scuderie, gridando a un servitore di portargli l’armatura.

Era arrivata l’ora della giustizia.




CAPITOLO DUE


Berin poté sentire l’eccitazione, la nervosa energia palpabile nell’aria nel momento in cui mise piede nella galleria. Si fece strada sottoterra, seguendo Anka e Sartes al suo fianco e passando vicino a guardie che li salutavano con rispetto, ribelli che erano accorsi da ogni parte. Passò attraverso il Cancello del Guardiano e sentì la svolta che la ribellione aveva preso.

Ora sembrava che avessero una possibilitГ .

“Da questa parte,” disse Anka facendo cenno a un sorvegliante. “Gli altri ci aspettano.”

Percorsero corridoi di pietra nuda che sembrava esistessero lì da sempre. Le Rovine di Delo, nelle viscere della terra. Berin accarezzò la pietra liscia con la mano, ammirando le rovine come solo un fabbro poteva e meravigliandosi di quanto fossero sopravvissute e cercando di immaginare chi le avesse costruite. Magari risalivano addirittura ai tempi degli Antichi, più lontano nel tempo di quanto qualcuno potesse ricordare.

E questo lo fece pensare con una fitta di dolore alla figlia che aveva perso.

Ceres.

Berin fu strappato da quel pensiero da un suono di martelli che battevano su metallo, dall’improvviso calore delle forge di fuoco quando passarono oltre un’apertura. Vide una decina di uomini che lavoravano sodo cercando di produrre pettorali e spade corte. Gli vennero in mente i tempi della sua vecchia fucina e ricordò i giorni in cui la sua famiglia non era ancora stata divisa.

Sembrava che anche Sartes stesse guardando.

“Tutto bene?” chiese Berin.

Annuì.

“Manca anche a me,” rispose Berin mettendogli una mano sulla spalla, sapendo che stava pensando a Ceres che un tempo stava sempre vicino alla forgia.

“Manca a tutti,” si intromise Anka.

Per un momento tutti e tre rimasero fermi lì e Berin capì che tutti stavano realizzando quanto Ceres avesse significato per loro.

Sentì Anka sospirare.

“Tutto quello che possiamo fare è continuare a combattere,” aggiunse, “e continuare a forgiare armi. Abbiamo bisogno di te, Berin.”

Lui cercГІ di concentrarsi.

“Stanno facendo tutto quello che ho insegnato loro?” chiese. “Stanno scaldando il metallo a sufficienza prima di temprarlo? Altrimenti non si indurirà.”

Anka sorrise.

“Controlla tu stesso dopo l’incontro.”

Berin annuì. Almeno poteva dimostrarsi un po’ utile anche lui.



***



Sartes camminava al fianco di suo padre seguendo Anka mentre continuavano oltre la forgia e si addentravano di più nelle gallerie. C’erano più persone di quante potesse credere là dentro. Uomini e donne stavano mettendo insieme le scorte, allenandosi con le armi, camminando nelle sale. Sartes riconobbe numerosi di loro come precedenti matricole, liberate ora dalla morsa dell’esercito.

Arrivarono infine a un antro cavernoso, decorato da piedistalli di pietra che probabilmente in passato sorreggevano delle statue. Alla luce di candele baluginanti Sartes poté vedere i capi della ribellione che li aspettavano. Hannah, che aveva discusso contro l’attacco, ora sembrava felice come se l’avesse proposto lei. Oreth, uno dei principali sostenitori di Anka, teneva la sua slanciata figura appoggiata alla parete, sorridendo fra sé e sé. Sartes scorse la grossa stazza del precedente scaricatore di porto Edrin al limitare della luce della candela, mentre i gioielli di Yeralt brillavano e il figlio del mercante sembrava quasi fuori posto tra quella gente mentre ridevano e scherzavano insieme.

Quando loro tre si avvicinarono, tutti fecero silenzio e Sartes poté vedere le differenze. Prima avevano ascoltato Anka quasi con riluttanza. Ora, dopo l’imboscata, c’era vero e proprio rispetto mentre lei avanzava. Aveva addirittura più l’aspetto del capo agli occhi di Sartes, camminava più eretta e sembrava più sicura.

“Anka, Anka, Anka!” iniziò Oreth, e subito gli altri intonarono il canto con lui, come i ribelli avevano fatto dopo la battaglia.

Sartes si unì alle voci, sentendo il nome del nuovo capo riecheggiare nello spazio. Smise soltanto quando Anka fece cenno di fare silenzio.

“Abbiamo fatto un buon lavoro,” disse Anka con un sorriso. Era uno dei primi che Sartes le vedeva fare dalla battaglia. Era stata troppo impegnata a tentare di organizzare il trasporto delle loro salme in sicurezza via dal cimitero. Aveva un talento per i dettagli di ciò che scaturiva come conseguenza della ribellione.

“Bene?” chiese Edrin. “Li abbiamo schiacciati.”

Sartes sentì il colpo del pugno dell’uomo contro il palmo della mano per enfatizzare il punto.

“Li abbiamo distrutti,” confermò Yeralt, “grazie alla tua guida.”

Anka scosse la testa. “Li abbiamo battuti insieme. Li abbiamo battuti perché abbiamo fatto tutti la nostra parte. E perché Sartes ci ha portato le mappe.”

Sartes si sentì spingere avanti da suo padre. Non se l’aspettava.

“Anka ha ragione,” disse Oreth. “Dobbiamo ringraziare Sartes. Ci ha portato i progetti ed è stato lui a convincere le matricole a non combattere. La ribellione ha più membri grazie a lui.”

“Ma sono matricole addestrate a metà,” disse Hannah. “Non sono soldati veri.”

Sartes si girГІ a guardarla. Era stata veloce a discutere contro la sua partecipazione. Non le piaceva, ma nella ribellione non si poteva badare a questi sentimenti. Erano tutti parte di qualcosa di piГ№ grande di loro.

“Li abbiamo battuti,” disse Anka. “Abbiamo vinto una battaglia, ma questa non è la stessa cosa che schiacciare l’Impero. Abbiamo ancora un sacco di lavoro davanti a noi.”

“E loro hanno ancora un sacco di soldati,” disse Yeralt. “Una lunga guerra contro di loro potrebbe costare cara per tutti noi.”

“Pensi al costo adesso?” ribatté Oreth. “Non si tratta di un affare o di un investimento, dove si vogliono vedere i fogli del bilancio prima di trovarsi coinvolti.”

Sartes iniziò a percepire l’irritazione. Quando era venuto dai ribelli la prima volta, si era aspettato che fossero un qualcosa di grande e unito e che non pensassero ad altro che alla necessità comune di sconfiggere l’Impero. Aveva invece scoperto che in un sacco di modi erano solo delle persone, tutte con le loro speranze, sogni e desideri. Solo faceva più impressione ancora che Anka avesse trovato dei modi per tenerli insieme anche dopo la morte di Rexus.

“È il più grosso investimento che ci sia,” disse Yeralt. “Ci mettiamo tutto quello che abbiamo. Rischiamo le nostre vite nella speranza che le cose vadano meglio. Sono nello stesso pericolo in cui vi trovate voi, se falliamo.”

“Non falliremo,” disse Edrin. “Li abbiamo battuti una volta. Li batteremo di nuovo. Sappiamo dove attaccheranno e quando. Possiamo stare ad aspettarli ogni volta.”

“Possiamo fare di più,” disse Hannah. “Abbiamo mostrato alla gente che possiamo batterli, quindi perché non andare fuori e riprenderci le nostre cose?”

“Cos’hai in mente?” chiese Anka. Sartes vide che ci stava pensando.

“Ci riprendiamo i villaggi uno alla volta,” disse Hannah. “Ci sbarazziamo dei soldati dell’Impero che ci sono dentro prima che Lucio possa avvicinarsi. Mostriamo alla gente cosa sia possibile, e lui si troverà una brutta sorpresa quando insorgeranno contro di lui.”

“E quando Lucio e i suoi uomini li uccideranno per essere insorti?” chiese Oreth. “Cosa faremo allora?”

“Allora si vedrà in assoluto la sua malvagità,” insistette Hannah.

“O la gente vedrà che non siamo in grado di proteggerli.”

Sartes si guardava attorno, sorpreso che stessero considerando sul serio quell’idea.

“Potremmo lasciare della gente nei villaggi in modo che non muoiano,” suggerì Yeralt. “Ora abbiamo le matricole con noi.”

“Non resisterebbero a lungo contro l’esercito se attaccasse,” controbatté Oreth. “Morirebbero insieme agli abitanti.”

Sartes sapeva che aveva ragione. Le matricole non avevano l’allenamento che possedeva il soldato più duro dell’esercito. Peggio ancora, avevano sofferto così tanto per mano dell’esercito che la maggior parte di loro erano probabilmente terrorizzati.

Vide che Anka chiedeva il silenzio. Questa volta le ci volle un po’ più di tempo per ottenerlo.

“Oreth ha ragione,” disse.

“Era ovvio che saresti stata d’accordo con lui,” rispose Hannah.

“Sono d’accordo con lui perché ha ragione,” disse Anka. “Non possiamo semplicemente andare nei villaggi, dichiararli liberi e sperare il meglio. Anche con le matricole, non abbiamo abbastanza combattenti. Se li raccogliamo tutti in un posto, diamo all’Impero la possibilità di annientarci. Se andiamo di villaggio in villaggio, ci faranno a pezzi un po’ alla volta.”

“Se si possono convincere abbastanza villaggi ad insorgere, e io convinco mio padre ad assoldare dei mercenari…” suggerì Yeralt. Sartes notò che non finiva il pensiero. Il figlio del mercante non aveva una risposta, proprio per niente.

“Allora cosa?” chiese Anka. “Avremmo i numeri? Se fosse così semplice, avremmo battuto l’Impero anni fa.”

“Ora abbiamo armi migliori grazie a Berin,” sottolineò Edrin. “Conosciamo i loro piani grazie a Sartes. Abbiamo il vantaggio! Diglielo, Berin. Dille delle lame che hai fatto.”

Sartes si girГІ a guardare suo padre, che scrollГІ le spalle.

“È vero che ho fatto delle buone spade, e gli altri qui ne hanno fatte tante altre di accettabili. È vero che alcuni di voi avranno ora un’armatura, piuttosto che restare feriti. Ma devo dirvi una cosa: non si tratta solo di spada. Si tratta della mano che la brandisce. Un esercito è come una lama. Puoi renderlo grande quanto vuoi, ma senza un’anima di vero acciaio, si romperà la prima volta che lo provi.”

Magari se gli altri avessero trascorso piГ№ tempo a fare armi, avrebbero capito quanto seriamente suo padre stava parlando. Ma Sartes vide che non erano convinti.

“Cos’altro possiamo fare?” chiese Edrin. “Non possiamo buttare via il nostro vantaggio restando qui ad aspettare. Io dico di iniziare a fare una lista dei villaggi da liberare. A meno che tu non abbia un’idea migliore, Anka?”

“Ce l’ho io,” disse Sartes.

La sua voce uscì più bassa di quanto avrebbe voluto. Fece un passo avanti, il cuore che batteva forte, sorpreso di aver parlato. Sapeva benissimo di essere decisamente più giovane di qualsiasi altro lì. Aveva fatto la sua parte nella battaglia, aveva addirittura ucciso un uomo, ma c’era ancora una parte di lui che gli dava la sensazione che non avrebbe dovuto parlare lì.

“Allora è deciso,” iniziò a dire Hannah. “Adesso…”

“Ho detto che ho un’idea migliore,” disse Sartes, e questa volta la sua voce si fece sentire.

Gli altri lo guardarono.

“Lasciate parlare mio figlio,” disse suo padre. “Avete detto voi stessi che ha dato una mano a procurarsi la vittoria. Forse ora potrà evitare che moriate.”

“Qual è la tua idea, Sartes?” chiese Anka.

Lo stavano guardando tutti. Sartes si sforzГІ di alzare la voce, pensando a come avrebbe parlato Ceres, ma anche alla sicurezza che Anka aveva mostrato prima.

“Non possiamo andare nei villaggi,” disse. “È quello che vogliono da noi. E non possiamo semplicemente fidarci delle mappe che ho portato, perché anche se non si fossero accorti che conosciamo i loro movimenti, presto se ne renderanno conto. Stanno cercando di tirarci fuori allo scoperto.”

“Questo lo sappiamo tutti,” disse Yeralt. “Pensavo avessi detto che hai un piano.”

Sartes non si tirГІ indietro.

“E se ci fosse un modo per colpire l’Impero dove non si aspettano e guadagnarci come bottino dei bravi combattenti? Che ne dite se potessimo far insorgere la gente con una vittoria simbolica che potrebbe valere più che proteggere un villaggio?”

“Cos’hai in mente?” chiese Anka.

“Liberiamo i combattenti nell’arena,” disse Sartes.

Seguì un lungo e stupefatto silenzio mentre tutti lo fissavano. Poté vedere il dubbio sui loro volti e capì che doveva andare avanti.

“Pensateci,” disse. “Quasi tutti i combattenti sono schiavi. I nobili li gettano a morire come giocattoli. La maggior parte di loro sarebbero grati di una possibilità di fugga, e possono combattere meglio di ogni soldato.”

“È una follia,” disse Hannah. “Attaccare il cuore della città a quel modo. Ci saranno guardie dappertutto.”

“Mi piace,” disse Anka.

Gli altri la guardarono e Sartes sentì un’ondata di gratitudine per il suo sostegno.

“Non se l’aspetteranno,” aggiunse.

Il silenzio calГІ ancora nella stanza.

“Non avremo bisogno di mercenari,” disse infine Yeralt accarezzandosi il mento.

“La gente insorgerà,” aggiunse Edrin.

“Dovremo farlo quando le Uccisioni saranno in corso,” sottolineò Oreth. “In questo modo tutti i combattenti saranno in un posto e ci sarà gente lì ad assistere a ciò che succederà.”

“Non ci saranno altre Uccisioni prima della festa della Luna di Sangue,” disse suo padre. “Sono sei settimane. In sei settimane posso fare un sacco di armi.”

Questa volta Hannah fece silenzio, forse sentendo la svolta.

“Allora siamo d’accordo?” chiese Anka. “Libereremo i combattenti durante la festa della Luna di Sangue?”

Sartes vide che uno alla volta gli altri annuivano. Alla fine lo fece addirittura Hannah. Sentì la mano di suo padre sulla spalla. Vide l’approvazione nei suoi occhi e questo significò tutto per lui.

Pregava solo che il suo piano non li facesse finire tutti ammazzati.




CAPITOLO TRE


Ceres sognava, e nei suoi sogni vedeva degli eserciti lanciati all’inseguimento. Si vide combattere alla loro testa con indosso un’armatura che brillava al sole. Si vide alla conduzione di una vasta nazione, a combattere una guerra che avrebbe determinato il fato dell’umanità.

Ma in tutto questo si vide anche aguzzare la vista alla ricerca di sua madre. Allungò la mano per prendere una spada e abbassò lo sguardo vedendo che non era più lì.

Ceres si svegliò di soprassalto. Era notte e il mare davanti a lei, illuminato dalla luna, era infinito. Mentre galleggiava nella sua piccola barca, non vide alcun segno di terraferma. Solo le stelle la convinsero che stava ancora portando l’imbarcazione nella giusta direzione.

Costellazioni familiari brillavano sopra la sua testa. C’era la Coda di Drago, una massa di stelle sotto alla luna. C’era l’Occhio del Vecchio, formata attorno a una delle stelle più luminose in quella distesa buia. La nave che il popolo della foresta aveva per metà cresciuto e per metà costruito sembrava non deviare mai dalla rotta che Ceres aveva preso, anche quando doveva fermarsi per mangiare o dormire.

A tribordo Ceres vide delle luci nell’acqua. Meduse luminose galleggiavano vicino a lei come nuvole subacquee. Ceres vide la sagoma più veloce di un pesce simile a una freccia che scivolava in mezzo al banco tagliando meduse a ogni passaggio e scappando prima che i tentacoli delle altre potessero toccarlo. Ceres guardò fino a che scomparvero in profondità.

Mangiò un pezzo di uno dei frutti dolci e succulenti con cui gli isolani le avevano riempito la barca. Quando aveva salpato era sembrato che ce ne fossero per settimane. Ora il cibo rimasto non le sembrava più così tanto. Si ritrovò a pensare al capo del popolo della foresta, così bello in un modo strano e asimmetrico, con la sua maledizione che gli aveva fatto comparire delle macchie dove la pelle era verde e muschiosa o irruvidita come corteccia. Che ora fosse sull’isola a suonare la sua strana musica e a pensare a lei?

Attorno a Ceres la nebbia iniziò a salire dall’acqua, infittendosi e riflettendo frammenti di luce lunare anche se oscurava la vista del cielo della notte sopra di lei. Roteava e si spostava attorno alla barca in filamenti di nebbia che si allungavano come dita. Il pensiero di Eoin sembrò condurre inevitabilmente al pensiero di Tano. Tano, che era stato ucciso sulle sponde di Haylon prima che Ceres gli dicesse che non voleva intendere sul serio nessuna di quelle dure cose che gli aveva gettato addosso quando se n’era andato. Lì sola nella sua barca Ceres non poteva levarsi di dosso il senso di nostalgia che provava nei suoi confronti. L’amore che aveva provato per lui era come un filo che la tirava nuovamente verso Delo, anche se Tano non era più lì.

Pensare a Tano le faceva male. Il ricordo era come una ferita aperta che forse non si sarebbe mai più richiusa. C’erano così tante cose che lei doveva fare, ma nessuna di esse l’avrebbe riportato indietro. C’erano così tante cose che gli avrebbe detto se fosse stato lì, ma non c’era. C’era solo il vuoto della nebbia.

La nebbia continuava ad avvolgere la barca e ora Ceres poteva vedere spuntoni di roccia che sbucavano dall’acqua. Alcuni erano di basalto nero ed affilato, ma altri portavano i colori dell’arcobaleno, come giganti pietre preziose disposte nel blu ondeggiante dell’oceano. Alcuni scogli avevano dei segni che disegnavano delle specie di spirali e Ceres non era sicura che fossero disegni naturali o se qualche antica mano li avesse intagliati.

Sua madre si trovava da qualche parte oltre quelle rocce?

Il pensiero le diede una scossa di eccitazione, scorrendo dentro di lei come la nebbia che si muoveva attorno alla barca. Stava per vedere sua madre. La sua vera madre, non quella che l’aveva sempre odiata e che l’aveva venduta ai mercanti di schiavi alla prima occasione. Ceres non sapeva come fosse fatta quella donna, ma solo la possibilità di poterlo scoprire la riempiva di trepidazione mentre conduceva la barca tra gli scogli.

Forti correnti trascinavano la sua barca, minacciando di toglierle il timone di mano. Se non avesse avuto la forza che le veniva dal potere dentro di lei, Ceres dubitava che sarebbe stata capace di tenerlo stretto. TirГІ il timone di lato e la sua piccola imbarcazione rispose con una grazia quasi vitale, scivolando oltre uno degli scogli, tanto vicino da poterlo toccare.

ContinuГІ a navigare tra le rocce e a ciascuna che oltrepassava si trovava a pensare a quanto si stesse avvicinando sempre piГ№ a sua madre. Che genere di donna avrebbe trovato? Nelle sue visioni non la si poteva distinguere bene, ma Ceres poteva immaginare e sperare. Magari era gentile, delicata e amorevole, tutte cose che non aveva mai ricevuto dalla madre che aveva sempre pensato sua a Delo.

Cos’avrebbe pensato sua madre di lei? Quel pensiero colse Ceres mentre conduceva la barca ad avanzare in mezzo alla nebbia. Non sapeva cosa la aspettasse davanti. Magari sua madre l’avrebbe guardata e avrebbe visto una persona che non era stata capace di vincere nell’arena, che non era stata niente più che una schiava dell’Impero, che aveva perso la persona che amava di più. E se su madre l’avesse rifiutata? E se fosse stata dura, crudele e spietata?

O forse invece sarebbe stata fiera di lei.

Ceres uscì dalla nebbia così improvvisamente che le parve quasi un sipario che si levava. Ora il mare era piatto, sgombro da quelle rocce aguzze che prima spuntavano dalla superficie. Istantaneamente poté vedere che c’era qualcosa di diverso. La luce della luna sembrava in qualche modo più luminosa, ed attorno ad essa le nubi roteavano in macchie di colore nella notte. Anche le stelle sembravano mutate, tanto che adesso Ceres non riusciva a distinguere le costellazioni familiari che �cerano prima. Una cometa lasciò un scia all’orizzonte e il rosso vivo si mescolò al giallo e ad altri colori che non avevano pari nel mondo di sotto.

Cosa ancora più strana, Ceres sentì il potere dentro di lei che pulsava, come se stesse rispondendo a quel luogo. Sembrava allungarsi dentro di lei, aprendosi e permettendole di fare esperienza di quel nuovo posto in cento modi che prima non avrebbe mai pensato.

Ceres vide una forma salire dall’acqua, un collo lungo e serpentino che si sollevava prima di rituffarsi sotto alle onde in uno scoppio di spruzzi. La creatura si alzò ancora brevemente e Ceres ebbe l’impressione di qualcosa di enorme che le nuotava vicino nell’acqua prima di sparire. Bestie simili ad uccelli guizzarono alla luce della luna e fu solo quando si avvicinarono di più che Ceres poté vedere che erano falene argentate più grosse della sua testa.

Con gli occhi sempre piГ№ pesanti per il sonno, Ceres fissГІ il timone, si distese e lasciГІ che il sonno si impadronisse di lei.



***



Ceres si svegliò al grido di uccelli. Sbatté le palpebre e si mise a sedere, constatando che non erano per niente uccelli. Due creature con il corpo di grossi gatti fluttuavano sopra di lei con ali d’aquila, chiamando con i loro becchi rapaci spalancati. Non diedero alcun segno di volersi avvicinare a lei e si limitarono a volare in cerchio sopra alla barca prima di allontanarsi.

Ceres li guardò e dato che li stava seguendo con lo sguardo vide il piccolo puntino di un’isola verso la quale si stavano dirigendo all’orizzonte. Più veloce che poté Ceres issò la piccola vela, cercando di cogliere il vento che soffiava perché la spingesse verso quell’isola.

Il puntino si fece più grande e quelli che le parvero altri scogli apparvero dall’oceano mentre Ceres si avvicinava, ma non erano gli stessi che aveva visto tra la nebbia. Questi erano squadrati, artificiali, ricavati da un marmo iridescente. Alcuni di essi sembravano le guglie di qualche grandioso edificio da tempo sommerso dalle onde.

Spuntava anche un mezzo arco, così grande che Ceres non poteva immaginare cosa potesse essere passato sotto di esso. Guardò oltre il lato della barca e l’acqua era così trasparente che lei poté scorgere il fondale marino di sotto. Non era molto profondo e Ceres poté vedere i resti di vecchi edifici là sotto. Erano così vicini che Ceres avrebbe potuto nuotare fino a raggiungerli solo trattenendo il fiato. Ma non lo fece, sia per le cose che già aveva visto nell’acqua e anche per quello che le stava davanti.

Eccola lì. L’isola dove avrebbe ottenuto le risposte di cui aveva bisogno. Dove avrebbe capito il suo potere.

Dove avrebbe finalmente incontrato sua madre.




CAPITOLO QUATTRO


Lucio fece roteare la lama sopra alla spalla, esultando per come luccicava alla fioca luce un istante prima di andare a trafiggere il vecchio che aveva osato metterglisi davanti. Attorno a lui altri paesani morivano per mano dei suoi uomini: quelli che avevano osato opporre resistenza, e abbastanza stupidi da trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Sorrideva mentre le grida riecheggiavano attorno a lui. Gli piaceva quando i contadini cercavano di combattere, perchГ© dava ai suoi uomini la scusa di mostrare loro quanto deboli fossero veramente in confronto ai loro superiori. Quanti ne aveva uccisi ormai in assalti come quello? Non si era preoccupato di tenerne il conto. PerchГ© avrebbe dovuto sprecare anche un briciolo di attenzione per una cosa del genere?

Lucio si guardò attorno mentre i paesani iniziavano a scappare e fece cenno a qualcuno dei suoi uomini che si misero ad inseguirli. Correre era quasi meglio che combattere, perché c’era una sfida nel dare loro la caccia come fossero delle prede.

“Il vostro cavallo, vostra altezza?” chiese uno degli uomini conducendo lo stallone di Lucio.

Lucio scosse la testa. “L’arco direi.”

L’uomo annuì e passò a Lucio un elegante arco ricurvo di frassino bianco misto a corno e decorato d’argento. Mise in posizione una freccia, tirò la corda e scoccò il colpo. In lontananza uno dei contadini in fuga cadde a terra.

Non ci furono altri combattimenti, ma questo non significava che avessero ancora finito. Non per un po’. Aveva scoperto che i contadini che si nascondevano potevano essere divertenti come quelli da rincorrere e combattere. C’erano così tanti modi diversi di torturare quelli che sembravano avere dell’oro, e molti altri di uccidere coloro che potevano avere delle simpatie per i ribelli. La ruota ardente, la forca, il cappio… quale avrebbe usato oggi?

Lucio fece cenno a un paio dei suoi uomini di buttare giù le porte a calci. Di tanto in tanto gli piaceva dare fuoco a quelli che si nascondevano, ma le case valevano più dei loro abitanti. Una donna uscì correndo e Lucio la prese, gettandola a caso verso uno dei mercanti di schiavi che avevano iniziato a seguirlo da un po’, come gabbiani dietro a un peschereccio.

Entrò nel tempio del villaggio. Il sacerdote era già a terra con il naso rotto, mentre gli uomini di Lucio raccoglievano oggetti d’oro e d’argento mettendoli in un sacco. Una donna vestita da sacerdotessa si portò davanti a lui. Lucio notò una ciocca di capelli biondi uscire da sotto il cappuccio e un certo aspetto raffinato che lo fece esitare.

“Non puoi fare questo,” insistette la donna. “Siamo in un tempio!”

Lucio la afferrò e le tolse il cappuccio per poterla guardare. Non era bella come Stefania – nessuna donna di basso rango avrebbe mai potuto esserlo – ma lo era abbastanza da poter essere tenuta per un po’. Almeno fino a che non si fosse stufato.

“Mi manda il vostro re,” disse Lucio. “Non cercare di dirmi cosa non posso fare!”

Troppe persone avevano tentato di farlo nella sua vita. Avevano cercato di imporgli dei limiti, quando lui invece era la persona dell’Impero sulla quale non avrebbero dovuto esserci limitazioni. Ci avevano provato i suoi genitori, ma un giorno lui sarebbe stato re. Sarebbe stato re, nonostante quello che aveva trovato nella biblioteca quando il vecchio Cosma pensava fosse troppo stupido per capire. Tano avrebbe imparato qual era il suo posto.

La mano di Lucio si strinse attorno ai capelli della sacerdotessa. Anche Stefania avrebbe capito qual era il suo posto. Come aveva osato sposare Tano a quel modo, come se fosse il principe piГ№ desiderabile? No, Lucio avrebbe trovato un modo di sistemare tutto. Avrebbe diviso Tano e Stefania allo stesso modo in cui apriva in due le teste di coloro che gli si mettevano tra i piedi. Avrebbe ottenuto Stefania in sposa, sia perchГ© era di Tano, sia perchГ© sarebbe stata un ottimo decoro per qualcuno del suo rango. Avrebbe goduto di questa cosa, e fino a quel momento la sacerdotessa che aveva catturato sarebbe stata una degna sostituta.

La spinse verso uno dei suoi uomini perché la sorvegliasse e uscì a vedere quali altri divertimenti ci potessero essere nel villaggio. Quando fu all’esterno vide due dei suoi uomini che legavano uno degli abitanti in fuga a un albero con le braccia allargate.

“Perché l’avete lasciato in vita?” chiese Lucio.

Uno di loro sorrise. “Tor qui mi stava raccontando di una cosa che fanno quelli del nord. Lo chiamano l’aquila di sangue.”

A Lucio piacque quel suono. Stava per chiedere di cosa si trattasse quando udì il grido di una delle vedette che sorvegliava i ribelli. Lucio si girò, ma invece di vedere un’orda di gentaglia in avvicinamento, scorse una singola figura a cavallo che aveva a grandi linee la sua stazza. Lucio riconobbe l’armatura all’istante.

“Tano,” disse. Schioccò le dita. “Bene, pare che oggi sarà una giornata ancora più interessante di quanto pensassi. Ridatemi il mio arco.”



***



Tano spronò il suo cavallo quando vide Lucio e ciò che stava facendo. Qualsiasi dubbio sospeso riguardo l’abbandonare Stefania a letto si dissolse nel calore della sua rabbia quando vide gli abitanti morti, i mercanti di schiavi, l’uomo legato all’albero.

Vide Lucio fare un passo e sollevare l’arco. Per un momento Tano non poté credere che l’avrebbe fatto, ma del resto perché no? Lucio aveva già tentato di ucciderlo prima.

Vide la freccia partire dall’arco e sollevò lo scudo giusto in tempo. La punta colpì il metallo dello scudo prima di cadere a terra. Seguì una seconda freccia, e questa volta gli passò accanto a pochi centimetri dal viso.

Tano spronГІ il cavallo a galoppare piГ№ veloce mentre una terza freccia lo sfiorava. Vide Lucio e i suoi uomini tuffarsi di lato mentre lui sfrecciava in mezzo a loro. Si girГІ e sguainГІ la spada proprio mentre Lucio si rimetteva in piedi.

“Tano, così veloce. Si direbbe che non vedevi l’ora di vedermi.”

Tano puntò la spada contro il cuore di Lucio. “Adesso falla finita, Lucio. Non ti permetterò di uccidere altre persone del nostro popolo.”

“Il nostro popolo?” ribatté Lucio. “Questo è il mio popolo, Tano. E posso farci quello che voglio. Permetti che te lo dimostri.”

Tano lo vide sguainare la spada e dirigersi verso l’uomo legato all’albero. Tano si rese conto di ciò che il suo fratellastro aveva intenzione di fare e mise in moto il suo cavallo.

“Fermatelo,” ordinò Lucio.

I suoi uomini ubbidirono e scattarono. Uno andò verso Tano puntandogli una lancia in faccia. Tano la deviò con lo scudo tagliando la punta dell’arma con la sua spada e poi dando un calcio all’uomo, facendolo cadere in terra. Ne trafisse un altro che correva verso di lui, colpendolo sulle spalle, tra le lamine dell’armatura, ed estraendo poi di nuovo la sua spada.

Si costrinse ad avanzare attraverso i pressanti avversari. Lucio stava ancora avanzando verso la vittima prescelta. Tano fece roteare la spada contro uno dei malviventi di Lucio e avanzГІ poi velocemente mentre il colpo sprigionava un suono metallico.

Lucio afferrГІ il suo scudo.

“Sei prevedibile, Tano,” gli disse. “La compassione è sempre stata la tua debolezza.”

Tirò con forza tale che Tano si trovò trascinato giù dalla sella. Rotolò in tempo per evitare un colpo di spada e liberò il braccio dallo scudo. Prese la propria spada con due mani mentre gli uomini di Lucio lo accerchiavano di nuovo. Vide il suo cavallo scappare, e questo significava che ora aveva perso il vantaggio dell’altezza.

“Uccidetelo,” disse Lucio. “Diremo che sono stati i ribelli.”

“Sei bravo a provarci, vero?” ribatté Tano. “È un peccato che tu non sia abbastanza bravo a finire il tuo lavoro.”

Uno degli uomini di Lucio lo attaccò facendo roteare una mazza chiodata. Tano avanzò nell’arco del tiro tagliando diagonalmente, poi ruotò con la spada tesa per tenere a bada gli altri.

Arrivarono rapidi, come se sapessero che nessuno di loro poteva sperare di sconfiggerlo singolarmente. Tano lasciò loro terreno mettendo la schiena contro il muro della casa più vicina in modo che i suoi nemici non potessero circondarlo. Ora c’erano tre uomini vicino a lui, uno con un’ascia, uno con una spada corta e uno con una lama curva simile a una falce.

Tano teneva vicina la sua spada, guardandoli e non volendo dare a nessuno di quei mercenari la possibilitГ  di colpire la sua spada in modo che gli altri scivolassero avanti.

L’uomo alla destra di Tano cercò di colpire con la sua spada corta. Tano lo parò in parte, sentendo il tintinnio della sua armatura. Un certo istinto lo fece ruotare e abbassare, giusto in tempo perché l’ascia dell’uomo alla sua sinistra gli passasse sopra alla testa. Tano colpì ad altezza di caviglia per far cadere l’avversario, poi girò la lama e colpì all’indietro, sentendo il grido del primo uomo che vi finiva contro.

Quello con la lama curva attaccГІ con maggior cautela.

“Attaccatelo! Uccidetelo!” gridava Lucio, ovviamente impaziente. “Oh, lo faccio da me.”

Tano parò il colpo del principe quando si unì al combattimento. Dubitava che Lucio l’avrebbe fatto se non ci fosse stato un altro uomo lì ad aiutarlo, e forse ce ne sarebbero stati altri nel corso della lotta. A dire il vero tutto ciò che Lucio doveva fare era tardare le cose, e Tano avrebbe potuto trovarsi sommerso da un considerevole numero di soldati.

Quindi Tano non aspettò. Invece attaccò. Tirò un colpo dopo l’altro, alternandosi tra Lucio e il mascalzone che Lucio si era portato dietro, costruendo così una sorta di ritmo. Poi improvvisamente fece una pausa. L’uomo con la falce parò un colpo inesistente. Tano si lanciò nello spazio rimasto e la testa dell’uomo volò.

Fu addosso a Lucio in un istante, lama contro lama. Lucio gli tirò un calcio, ma Tano si spostò di lato allungandosi verso l’elsa della spada di Lucio e afferrandola. Tano tirò verso l’alto e strappò la spada dalla mano di Lucio, poi colpì lateralmente. La sua spada andò a sbattere contro il pettorale di Lucio. Lucio sguainò un pugnale e Tano spostò la spada nell’altra mano facendola roteare in basso con dalla parte dell’elsa in modo che la guardia si impigliasse dietro al ginocchio di Lucio.

Tano tirГІ e Lucio cadde a terra. Tano diede un calcio al pugnale che teneva in mano facendolo volare con forza.

“Dimmi di nuovo questa storia della compassione che è la mia debolezza,” disse Tano tenendo la punta della sua spada sospesa sulla gola di Lucio.

“Non lo farai,” disse Lucio. “Stai solo cercando di spaventarmi.”

“Spaventarti?” chiese Tano. “Se pensassi che spaventarti funzionasse, ti avrei spaventato a morte anni fa. No, ho intenzione di mettere fine a questa faccenda.”

“Mettere fine?” disse Lucio. “Questa faccenda non può finire, Tano. Non fino a che non avrò vinto.”

“Dovrai aspettare un sacco allora,” gli assicurò Tano.

SollevГІ la spada. Doveva farlo. Lucio doveva essere fermato.

“Tano!”

Tano si girò sentendo la voce di Stefania. Con suo stupore la vide avvicinarsi, avanzando a rapido galoppo. Era vestita da amazzone, in modo ben diverso dal suo stile solitamente così elegante, e da come gli abiti apparivano stropicciati si intuiva che doveva esserseli messi addosso in fretta e furia.

“Tano, no!” gridò mentre si avvicinava.

Tano strinse la spada con maggior forza. “Dopo tutto quello che ha fatto, non pensi che lo meriti?”

“Non si tratta di cosa meriti o meno,” disse Stefania smontando da cavallo e portandosi acanto a lui. “Qui parliamo di cosa meriti tu. Se lo uccidi, ti faranno fuori per questo. Funziona così, e io non ho intenzione di perderti a questo modo.”

“Ascoltala Tano,” disse Lucio, sempre steso a terra.

“Taci,” disse Stefania. “O vuoi incitarlo ad ucciderti?”

“Bisogna fermarlo,” disse Tano.

“Non così,” insistette Stefania. Tano sentì la sua mano sul proprio braccio che spingeva via la spada. “Non facendoti ammazzare tu stesso. Hai giurato che saresti stato mio per il resto della nostra vita insieme. Pensavi davvero che potesse essere così breve?”

“Stefania,” iniziò Tano, ma lei non gli permise di concludere il discorso.

“E io?” gli chiese. “In che pericoli mi troverò se mio marito uccide l’erede al trono? No, Tano. Fermati. Fallo per me.”

Se qualsiasi altra persona gliel’avesse chiesto, Tano avrebbe potuto anche andare avanti con la sua intenzione. C’era troppo in ballo. Ma non poteva mettere a rischio Stefania. Conficcò la spada in terra, mancando la testa di Lucio di un centimetro. Lucio stava già rotolando via e si mise subito a correre verso un cavallo.

“Te ne pentirai!” gridò Lucio. “Ti prometto che te ne pentirai!”




CAPITOLO CINQUE


Tano vide le guardie che lo attendevano lungo la strada che conduceva alle porte della città quando lui e Stefania tornarono a casa. Sollevò il mento e continuò ad avanzare a cavallo. Se l’era aspettato. E non sarebbe scappato.

Ovviamente anche Stefania li notГІ. Tano la vide irrigidirsi sulla sella, passando da rilassata a misurata e formale in un attimo. Era come se una maschera fosse scivolata a ricoprile i tratti del viso e Tano si trovГІ automaticamente ad allungarsi facendo scivolare una mano sopra alla sua mentre teneva le redini.

Le guardie incrociarono le alabarde per sbarrare il passaggio mentre si avvicinavano e Tano fermГІ il cavallo. Lo tenne tra Stefania e le guardie, in caso Lucio avesse in qualche modo istruito gli uomini perchГ© lo attaccassero. Vide un ufficiale farsi avanti uscendo dal gruppo di guardie e salutare.

“Principe Tano, bentornato a Delo. Io e i miei uomini abbiamo avuto ordine di accompagnarvi dal re.”

“E se mio marito non volesse venire con voi?” chiese Stefania con tono che avrebbe potuto comandare l’intero Impero.

“Mi perdoni mia signora,” disse l’ufficiale, “ma il re ci ha dato chiari ordini.”

Tano sollevГІ una mano prima che Stefania potesse discutere.

“Capisco,” disse. “Vengo con voi.”

Le guardie fecero strada e, a loro credito, riuscirono a far apparire il corteo come una semplice scorta. Fecero strada attraverso Delo e Tano notГІ che la strada scelta era in mezzo a una delle parti piГ№ belle della cittГ , con viali alberati e case nobiliari, lontano dai quartieri peggiori. Forse stavano solo cercando di restare nella zona piГ№ sicura. O forse pensavano che nobili come Tano e Stefania non avrebbero gradito di vedere la miseria.

Presto si trovarono davanti le torreggianti mura del castello. Le guardie fecero strada attraverso i cancelli e gli artieri presero i loro cavalli. La passeggiata all’interno del castello apparve più confinata e circoscritta, con un sacco di guardie che li circondavano negli spazi angusti dei corridoi del castello. Stefania prese la mano di Tano e lui la strinse con delicatezza per rassicurarla.

Quando raggiunsero gli appartamenti reali, i membri della guardia del corpo del re sbarrarono loro la porta.

“Il re desidera parlare con il principe Tano da solo,” disse una delle guardie.

“Sono sua moglie,” disse Stefania con tono così freddo che secondo Tano avrebbe fatto spostare da parte all’istante la maggior parte delle persone.

La cosa però non sembrò avere alcun effetto sulle guardie. “Non se ne parla.”

“Andrà tutto bene,” disse Tano.

Quando entrò, il re lo stava aspettando. Re Claudio stava in piedi appoggiato a una spada la cui elsa aveva la forma dei tentacoli sinuosi di un mostro marino. Gli arrivava quasi al petto e Tano non aveva alcun dubbio che la lama fosse affilata come un rasoio. Udì lo scatto della porta che si chiudeva alle sue spalle.

“Lucio mi ha raccontato ciò che hai fatto,” disse il re.

“Ero certo che sarebbe venuto di corsa da te,” rispose Tano. “Ha anche detto cosa stava facendo lui quando sono arrivato?”

“Stava facendo ciò che gli era stato ordinato,” rispose seccamente il re, “in modo da gestire la ribellione. Eppure tu sei andato lì ad attaccarlo. Hai ucciso i suoi uomini. Dice che l’hai sconfitto con l’inganno e che l’avresti anche ucciso se Stefania non fosse intervenuta.”

“Come può il massacro dei paesani fermare la ribellione?” ribatté Tano.

“Sei più interessato ai paesani che alle tue stesse azioni,” disse re Claudio. Sollevò la spada come a volerla soppesare. “Attaccare il figlio del re è un atto di tradimento.”

“Sono io il figlio del re,” gli ricordò Tano. “Non hai fatto uccidere Lucio quando ha tentato di farmi fuori.”

“La tua nascita è l’unico motivo per cui sei ancora in vita,” rispose re Claudio. “Sei mio figlio, ma lo è anche Lucio. Non ti è concesso di minacciarlo.”

La rabbia allora crebbe in Tano. “Non ho nulla che si veda. Neanche il riconoscimento di chi sono.”

C’erano delle statue in un angolo della stanza, raffiguranti famosi antenati della linea reale. Erano in disparte, quasi nascoste, come se il re non volesse ricordarsi di loro. Ad ogni modo, Tano le indicò.”

“Lucio può guardare quelle statue e può proclamare la sua autorità facendola risalire ai tempi in cui l’Impero è sorto,” disse. “Può arrogarsi i diritti di tutti coloro che hanno avuto il trono quando gli Antichi se ne sono andati da Delo. E io cosa ho? Dei vaghi pettegolezzi riguardo alla mia nascita? Immagini distorte di genitori che non sono neanche sicuro siano reali?”

Re Claudio andГІ fino al punto della sua stanza dove si trovava il suo trono. Vi si sedette posandosi la spada che teneva in mano sulle ginocchia.

“Hai un posto di tutto rispetto a corte,” disse.

“Un posto di tutto rispetto?” rispose Tano. “Ho il posto da principe avanzato che nessuno vuole. Lucio può anche aver tentato di uccidermi ad Haylon, ma sei stato tu a mandarmi lì.”

“La ribellione deve essere schiacciata, ovunque si trovi,” ribatté il re. Tano lo vide accarezzare la lama della spada con il pollice. “Dovevi impararlo.”

“Oh, l’ho imparato,” disse Tano avanzando e portandosi di fronte a suo padre. “Ho imparato che preferiresti sbarazzarti di me che riconoscermi. Sono il tuo figlio primogenito. Secondo la legge del regno, dovrei essere il tuo erede. Il figlio primogenito è sempre stato l’erede fin dalla nascita di Delo.”

“Il primogenito sopravvissuto,” disse il re sottovoce. “Pensi che saresti vissuto se la gente avesse saputo?”

“Non fingere di avermi protetto,” rispose Tano. “Stavi proteggendo te stesso.”

“Meglio che passare il tempo a combattere per conto della gente che neanche se lo merita,” disse il re. “Sai cosa dai a vedere quando te ne vai in giro a proteggere paesani che dovrebbero sapere qual è il loro posto?”

“Do a vedere che qualcuno si preoccupa per loro!” gridò Tano. Non poté trattenersi dall’alzare la voce, perché sembrava l’unico modo di impressionare suo padre. Forse se fosse riuscito a farglielo capire, allora l’Impero sarebbe finalmente potuto cambiare in meglio. “Do a vedere che i loro governatori non sono dopotutto dei nemici mandati ad ucciderli, ma gente da rispettare. Come se le loro vite contassero qualcosa per noi, piuttosto che essere qualcosa da gettare da parte mentre ce la spassiamo in feste scintillanti!”

Il re rimase in silenzio a lungo. Tano poteva vedere la furia nei suoi occhi. Andava bene. Combaciava con la rabbia che lui stesso provava.

“Inginocchiati!” disse re Claudio alla fine.

Tano esitГІ solo per un secondo, ma apparentemente fu sufficiente.

“Inginocchiati!” tuonò il re. “O vuoi che te lo faccia fare io? Sono sempre il re, qui!”

Tano si inginocchiГІ sul duro pavimento di pietra davanti al trono del re. Vide il re sollevare la spada che teneva con difficoltГ , come se non facesse quel gesto da lungo tempo.

I pensieri di Tano andarono alla spada che portava al fianco. Non aveva dubbio che se fossero giunti a uno scontro, il vincitore sarebbe stato lui. Era più giovane, più forte e si era allenato con il meglio che l’arena avesse da offrire. Ma questo avrebbe significato uccidere suo padre. Più di tutto il resto, sarebbe stato quello il vero tradimento.

“Ho imparato molte cose nella mia vita,” disse il re tenendo alta la spada. “Quando avevo la tua età ero come te, ero giovane, ero forte, combattevo, e combattevo bene. Ho ucciso molti uomini in battaglia e in duelli nell’arena. Ho cercato di combattere per tutto ciò che credevo essere giusto.”

“Cosa ti è successo?” chiese Tano.

Le labbra del re si incurvarono in un ghigno. “Ho imparato qualcosa di meglio. Ho imparato che se dai loro una possibilità, la gente non si unisce per sostenerti. Cercano invece di farti a pezzi. Ho tentato di mostrare compassione, e la verità è che non è altro che follia. Se un uomo si oppone a te, allora distruggilo, perché se non lo fai, sarà lui ad eliminarti.”

“Oppure fallo tuo amico,” disse Tano, “e lui ti aiuterà a rendere le cose migliori.”

“Amici?” re Claudio alzò la spada ancor più. “Gli uomini potenti non hanno amici. Hanno alleati, servitori e parassiti, ma non pensare per un solo momento che non ti si rivolteranno contro. Un uomo ragionevole li tiene al loro posto, oppure li vede insorgere contro di lui.”

“Il popolo merita di meglio,” insistette Tano.

“Pensi che il popolo ottenga ciò che si merita?” gridò re Claudio. “Ottengono quello che si prendono! Stai parlando come se pensassi che le persone del popolo sono tutte nostri pari. Non lo sono. Noi siamo cresciuti fin dalla nascita per governarli. Siamo più educati, più forti, migliori in ogni aspetto. Vuoi mettere gli allevatori di maiali nei castelli accanto a te, e io invece voglio mostrati quanto appartengano al loro porcile. Lucio capisce.”

“Lucio capisce solo la crudeltà,” disse Tano.

“E la crudeltà è quello che serve per governare!”

Tano allora vide il re brandire la spada. Forse avrebbe potuto abbassarsi. Forse avrebbe addirittura potuto afferrare la propria lama. Invece rimase lì in ginocchio a guardare mentre la spada scendeva verso la sua gola, disegnando un arco di acciaio brillante alla luce del sole.

Si fermò un attimo prima di tagliargli la gola, ma non di tanto. Tano sentì la lama tagliente che gli pungeva la pelle, ma non reagì, per quanto avrebbe voluto farlo.

“Non ti sei mosso di un millimetro,” disse re Claudio. “Quasi non hai battuto ciglio. Lucio l’avrebbe fatto. Probabilmente mi avrebbe implorato per la sua vita. Questa è la sua debolezza. Ma Lucio ha la forza di fare ciò di cui c’è bisogno per governare. È per questo che è il mio erede. Fino a che non riuscirai ad estirpare questa debolezza dal tuo cuore, non ti riconoscerò. Non ti dichiarerò mio. E se attaccherai di nuovo il mio figlio legittimo, ti farò tagliare la testa. Hai capito?”

Tano si alzò in piedi. Ne aveva abbastanza di stare in ginocchio davanti a quell’uomo. “Ho capito, padre. Ho capito perfettamente.”

Si girò e si diresse verso la porta, senza aspettare il permesso di farlo. Cosa poteva fare suo padre? Sarebbe stato un atto di debolezza richiamarlo indietro. Tano uscì e Stefania lo stava aspettando. Pareva che avesse mantenuto la sua immagine di compostezza davanti alle guardie lì presenti, ma nel momento in cui Tano venne fuori, corse da lui.

“Stai bene?” gli chiese accarezzandogli una guancia. La abbassò e Tano vide che era macchiata di sangue. “Tano, stai sanguinando!”

“È solo un graffito,” la rassicurò Tano. “Ho probabilmente ferite peggiori per il combattimento di prima.”

“Cos’è successo là dentro?” gli chiese.

Tano fece un sorriso forzato, ma gli risultò più teso di quanto avrebbe voluto. “Sua maestà ha deciso di ricordarmi che, principe o no, non valgo tanto per lui quanto Lucio.”

Stefania gli mise le mani sulle spalle. “Te l’ho detto, Tano. Non è stata la cosa giusta da fare. Non puoi metterti a rischio a questo modo. Devi promettermi che ti fiderai di me e che non rifarai mai più una cosa così sciocca. Promettimelo.”

Tano annuì.

“Per te amore mio. Te lo prometto.”

E lo diceva anche sul serio. Uscire così allo scoperto a combattere contro Lucio non era la strategia corretta, perché non gli consentiva abbastanza risultato. Non era Lucio il problema. L’intero Impero era il problema. Per un breve momento aveva pensato di essere capace di convincere il re a cambiare le cose, ma la verità era che suo padre non voleva che le cose cambiassero.

No, l’unica cosa da fare adesso era trovare dei modi per aiutare la ribellione. Non solo i ribelli ad Haylon, ma tutti quanti. Da solo Tano non avrebbe potuto fare molto, ma insieme poteva forse abbattere l’Impero.




CAPITOLO SEI


Ovunque Ceres guardasse sull’Isola Oltrenebbia, vedeva cose che la facevano stare imbambolata davanti alla loro strana bellezza. Falchi con piume color dell’arcobaleno ruotavano puntando a possibili prede in basso, ma venivano a loro volta cacciati da un serpente alato che alla fine si posizionò su una guglia di marmo bianco.

Camminava sopra all’erba verde smeraldo dell’isola e le sembrava di sapere esattamente dove doveva andare. Aveva visto se stessa nella visione, lì in cima alla collina in lontananza, dove le torri dai colori dell’arcobaleno svettavano come gli aculei di una grossa bestia.

I fiori crescevano sui prati lungo la via e Ceres allungò una mano per accarezzarli. Quando le sue dita li sfiorarono però, sentì che i loro petali erano di sottile foglia di pietra. Qualcuno li aveva creati così bene o erano una sorta di roccia vivente? Solo il fatto di poter immaginare quella possibilità le diceva quanto fosse strano quel luogo.

Ceres continuГІ a camminare dirigendosi al punto dove sapeva, dove sperava che sua madre la stesse aspettando.

Raggiunse i piedi della collina e iniziò a risalire il pendio. Attorno a lei l’isola era piena di vita. Le api ronzavano nell’erba bassa; una creatura simile a un cerbiatto, ma con le corna di cristallo, guardò Ceres a lungo prima di scappare con un balzo.

Ma non vide nessuna persona, nonostante gli edifici che punteggiavano il paesaggio attorno a lei. Quello più vicino a lei le dava una sensazione di purezza e di vuoto, come una dimora che è stata liberata solo pochi attimi prima. Ceres continuò ad avanzare risalendo verso la cima della collina, fino al punto dove le torri formavano un cerchio attorno a un’ampia area erbosa, permettendole di vedere tra loro tutto il resto dell’isola.

Ma Ceres non guardò da quella parte. Si trovò invece a fissare il centro del cerchio dove si trovava una figura da sola, vestita con una tunica bianca e candida. Diversamente dalla sua visione, la figura non era confusa o annebbiata. Era lì, limpida e reale come Ceres stessa. Ceres fece qualche passo avanti, arrivando quasi a poterla toccare. Poteva essere solo una persona.

“Madre?”

“Ceres.”

La figura incappucciata avanzГІ contemporaneamente a lei e le due si incontrarono in un forte abbraccio che sembrГІ esprimere tutte le cose che Ceres non sapeva come dire: quanto aveva atteso quel momento, quanto amore provava, quanto incredibile fosse incontrare quella donna che aveva visto solo in una visione.

“Sapevo che saresti venuta,” disse la donna, sua madre, facendo un passo indietro, “ma pur sapendolo, è diverso vederti sul serio.”

A quel punto tirГІ indietro il cappuccio e a Ceres parve quasi impossibile che quella donna potesse essere sua madre. Sua sorella forse, perchГ© avevano gli stessi capelli, la stessa fisionomia. Era quasi come guardarsi in uno specchio. Eppure le sembrava troppo giovane per essere sua madre.

“Non capisco,” disse Ceres. “Tu sei mia madre?”

“Sì.” Allungò le braccia per abbracciare Ceres di nuovo. “So che può sembrare strano, ma è così. Quelli del mio genere possono vivere a lungo. Mi chiamo Lycine.”

Un nome. Ceres finalmente aveva un nome per sua madre. In qualche modo questo significava più di tutto il resto. Anche solo questo era sufficiente perché fosse valsa la pena del viaggio. Avrebbe voluto stare lì a guardare sua madre per sempre. Ma aveva pur sempre delle domande. Così tante che traboccarono da lei in fretta e furia.

“Cos’è questo posto?” chiese. “Perché sei qui da sola? Aspetta, cosa intendi con �quelli del tuo genere’?”

Lycine sorrise e si sedette sull’erba. Ceres la imitò e quando si fu seduta si rese conto che non era semplice erba. Poteva vedere frammenti di roccia al di sotto che disegnavano delle specie di mosaici, ricoperti da tempo dall’intero prato tutt’attorno.

“Non esiste un modo semplice per rispondere a tutte le tue domande,” disse Lycine. “Soprattutto non quando io stessa ne ho così tante: su di te, sulla tua vita. Su tutto, Ceres. Ma ci proverò. Facciamo alla vecchia maniera? Una domanda alla volta?”

Ceres non sapeva cosa rispondere, ma sembrava che sua madre avesse giГ  deciso.

“Raccontano ancora le storie degli Antichi, là fuori nel mondo?”

“Sì,” disse Ceres. Aveva sempre prestato più attenzione alle storie dei combattenti e delle loro imprese nell’arena, ma sapeva in qualche modo cosa si diceva degli Antichi: coloro che erano venuti prima dell’umanità, che talvolta avevano lo stesso aspetto e a volte sembravano molto di più. Che avevano costruito così tanto e poi l’avevano perduto. “Aspetta, stai dicendo che tu sei…”

“Una degli Antichi, si,” rispose Lycine. “Questo era uno dei nostri posti prima… beh, ci sono delle cose di cui è ancora meglio non parlare. E poi tocca a me avere la mia risposta. Allora, raccontami come è stata la tua vita. Non potevo essere lì, ma ho passato un sacco di tempo ad immaginare come fosse per te.”

Ceres fece del suo meglio, anche se non sapeva da dove iniziare. Raccontò a Lycine di essere cresciuta attorno alla forgia di suo padre e insieme ai suoi fratelli. Le raccontò della ribellione e dell’arena. Riuscì anche a dirle di Rexus e Tano, anche se quelle parole le uscirono frammentarie e soffocate.

“Oh, tesoro,” disse sua madre mettendo una mano sulla sua. “Avrei voluto risparmiarti almeno una parte di questo dolore. Avrei voluto essere stata vicino a te.”

“Perché non potevi?” chiese Ceres. “Sei rimasta qui tutto il tempo?”

“Sì,” disse Lycine. “Questo un tempo era uno dei luoghi del mio popolo, nei tempi antichi. Gli altri se ne sono andati. Anche io l’ho fatto per un po’, ma gli anni passati è stato una sorta di santuario. Un luogo dove aspettare, ovviamente.”

“Aspettare?” chiese Ceres. “Intendi me?”

Vide sua madre annuire.

“La gente parla di chi vede il destino come se avesse un dono,” disse Lycine, “ma è anche come una specie di prigione. Capisci cosa accadrà e perdi le scelte che ne deriverebbero senza neanche saperlo, per quanto tu lo desideri…” Sua madre scosse la testa e Ceres vide la tristezza in lei. “Questo non è il momento dei rimpianti. Ho mia figlia qui, e abbiamo solo il tempo perché tu capisca perché sei venuta.”

Sorrise e la prese per mano.

“Vieni con me.”



***



Ceres si sentiva come se fossero passati dei giorni mentre lei e sua madre passeggiavano per l’isola magica. Era mozzafiato, sia il panorama che essere lì con sua madre. Era come un sogno.

Mentre camminavano parlarono piГ№ che altro del potere. Sua madre cercava di spiegarglielo e Ceres tentava di capire. Accadde la cosa piГ№ strana: mentre sua madre parlava, Ceres si sentiva come se le sue parole la stessero effettivamente pervadendo di potere.

Anche ora mentre camminavano, Ceres lo sentiva crescere dentro di lei, come un fumo mentre sua madre le toccava la spalla. Doveva imparare a controllarlo, era venuta qui per imparare questo, ma paragonato all’incontro con sua madre, ora non le sembrava così importante.

“Il nostro sangue ti ha dato il potere,” disse Lycine. “Gli isolani hanno cercato di aiutarti a liberarlo, vero?”

Ceres pensò ad Eoin e a tutti gli strani esercizi che le aveva fatto fare. “Sì.”

“Per essere gente che non appartiene al nostro sangue, capiscono bene il mondo,” disse sua madre. “Ma ci sono delle cose che non possono mostrarti. Hai mai trasformato qualcosa in pietra finora? È uno dei miei talenti, quindi immagino che sia una dote che appartiene anche a te.”

Trasformare le cose in pietra?” chiese Ceres. Non capiva. “Fino ad adesso ho spostato delle cose. Sono diventata più veloce e più forte. E…”

Non voleva terminare quel pensiero. Non voleva che sua madre pensasse male di lei.

“E il tuo potere ha ucciso cose che hanno tentato di farti del male?” chiese Lycine.

Ceres annuì.

“Non vergognartene, figlia mia. Ho visto solo poco di te, ma so che sei destinata a me. Sei una brava persona. Tutto ciò che potrei sperare. E per quanto riguarda trasformare le cose in pietra…”

Si fermarono in un prato di fiori viola e gialli e Ceres guardò sua madre raccogliere un fiorellino dai petali delicati e setosi. Attraverso il contatto con sua madre, sentì il modo in cui il potere baluginava dentro di lei, familiare ma molto più direzionato, formato, manipolato.

La pietra si propagò attraverso il fiore come il ghiaccio su una finestra, ma non solo sulla superficie. Un secondo dopo aver iniziato, già era finito e sua madre teneva in mano uno dei fiori di pietra che Ceres aveva visto più in basso sull’isola.

“L’hai sentito?” le chiese Lycine.

Ceres annuì. “Ma come hai fatto?”

“Senti di nuovo.” Raccolse un altro fiore e questa volta eseguì il processo con estrema lentezza trasformando il fiore in qualcosa con i petali di marmo e lo stelo di granito. Ceres cercò di seguire il movimento del potere dentro di lei e fu come se il suo stesso potere si muovesse in risposta, cercando di copiarlo.

“Bene,” disse Lycine. “Il tuo sangue lo sa. Ora prova tu.”

PassГІ un fiore a Ceres. Ceres allungГІ una mano concentrandosi mentre cercava di cogliere il potere dentro di sГ© e spingerlo nella forma che aveva sentito dare prima da sua madre.

Il fiore esplose.

“Bene,” disse Lycine ridendo, “questo non era prevedibile.”

Era così diverso da come avrebbe reagito la madre con cui era cresciuta. Avrebbe picchiato Ceres per il minimo errore. Lycine invece non fece che passarle un altro fiore.

“Rilassati,” le disse. “Sai già come dovrebbe essere. Prendi quella sensazione. Immaginala. Rendila reale.”

Ceres cercò di farlo, pensando a ciò che aveva provato quando sua madre aveva trasformato il suo fiore. Prese la sensazione e la riempì di potere nel modo in cui suo padre avrebbe colmato uno stampo nella forgia con del ferro fuso.

“Apri gli occhi, Ceres,” le disse Lycine.

Ceres non si era neanche resa conto che li aveva chiusi fino a che sua madre non glielo disse. Si sforzò di guardare, anche se proprio in quel momento si sentiva un po’ timorosa. Ma quando guardò rimase a bocca aperta perché stentava a crederci. Aveva in mano un fiore pietrificato perfettamente formato, trasformato dal suo potere in qualcosa di simile al basalto.

“L’ho fatto io?” chiese Ceres. Pur sapendo che poteva fare ben altro, le sembrava ancora impossibile.

“Sì,” disse sua madre, e Ceres sentì l’orgoglio in lei. “Ora abbiamo solo bisogno di insegnarti a farlo senza tenere gli occhi chiusi.”

Per quello ci volle più tempo, e molti altri fiori. Eppure a Ceres piacque esercitarsi. Più di tutto, ogni volta che sua madre sorrideva per i suoi sforzi, Ceres sentiva un’esplosione d’amore espandersi dentro di sé. Anche quando i minuti divennero ore, lei continuò a provare.

“Sì,” disse alla fine sua madre. “Questo è perfetto.”

Era ancora di piГ№: era facile. Facile trovare il potere dentro di sГ© e tirarlo fuori. Facile incanalarlo. Facile ricavare un fiore di pietra perfettamente conservato. Solo quando la frenesia del fare si dissolse, Ceres si rese conto di quanto fosse stanca.

“Va tutto bene,” disse sua madre prendendole la mano. “Il tuo potere richiede energia e sforzo. Anche la più forte di noi potrebbe fare così tanto in una volta sola.” Sorrise. “Ma il tuo potere adesso sa a cosa serve. Sorgerà quando qualcuno ti minaccerà o quando tu lo chiamerai. Farà anche di più.”

Ceres sentì un barlume di potere venire da sua madre e vide il pieno potenziale del suo potere. Vide gli edifici di pietra e i giardini sotto una nuova luce, come cose costruite con quel potere, fabbricate in modo che nessun essere umano avrebbe potuto capire. In qualche modo si sentiva completa.

Un po’ di felicità sembrò svanire dal volto di sua madre. Ceres la sentì sospirare.

“Cosa c’è?” le chiese.

“Solo vorrei che potessimo passare più tempo insieme,” disse Lycine. “Mi piacerebbe un sacco portati oltre le torri e raccontarti la storia del mio popolo. Adorerei sentire tutto di questo Tano che amavi così tanto e mostrarti i giardini dove il sole non ha mai toccato gli alberi.”

“Allora fallo,” disse Ceres. Le sembrava di dover restare lì per sempre. “Mostrami tutto. Dimmi del passato. Dimmi di mio padre e di cos’è successo quando sono nata.”

Sua madre perГІ scosse la testa.

“Questa è una cosa per cui non sei ancora pronta. Per quanto riguarda il tempo, ti ho detto prima che il destino può essere una prigione, cara, e tu hai un destino più grande del resto della gente.”

“Ne ho visto qualche scorcio,” ammise Ceres, pensando ai sogni che aveva avuto ripetutamente sulla barca.

“Allora sai perché non possiamo stare qui ed essere una famiglia, per quanto entrambe lo desideriamo,” disse sua madre. “Anche se forse il futuro tiene in serbo del tempo per questo. Per questo e molto altro.”

“Prima però devo tornare, vero?” chiese Ceres.

Sua madre annuì.

“Sì,” le disse. “Devi tornare, Ceres. Tornare e liberare Delo dall’Impero, come sei sempre stata destinata a fare.”




CAPITOLO SETTE


Era difficile per Stefania credere di essere sposata con Tano giГ  da sei settimane. Eppure con la Festa della Luna di Sangue alle porte, era proprio quello il tempo passato. Sei settimane di gaudio, ogni giorno meraviglioso come aveva sperato.

“Sei strabiliante,” disse guardando Tano nelle stanze che ora condividevano nel castello. Era una visione, così vestito di seta rosso scuro decorata di oro rosso e rubini. Stentava quasi a credere che fosse suo, a volte. “Il rosso ti dona.”

“Mi fa sembrare ricoperto di sangue,” rispose Tano.

“Che è proprio come dovrebbe essere, dato che è la Luna di Sangue,” sottolineò Stefania. Si piegò per baciarlo. Gli piaceva poter farlo quando voleva. Se ci fosse stato più tempo, si sarebbe forse presa quel momento per fare molto di più.

“Ad ogni modo conta ben poco cosa abbia addosso,” disse Tano. “Non c’è nessuno nella stanza che guarderà me quando là fuori ci sarai tu al mio fianco.”

Forse un altro uomo avrebbe potuto fare quel complimento con maggiore eleganza, ma c’era qualcosa nei modi sinceri di Tano che per Stefania contava ben più di tutti i più perfetti poemi esistenti al mondo.

E poi lei aveva lavorato sodo per scegliersi l’abito più bello di Delo. Luccicava con sfumature di rosso che la facevano sembrare avvolta dalle fiamme. Aveva addirittura pagato il sarto perché si assicurasse che l’originale, destinato a una nobildonna di rango inferiore in città, venisse ritardato irrimediabilmente.

Stefania offrì a Tano il braccio e lui lo prese, guidandola verso la grande sala della festa dove si erano sposati. Erano già passate sei settimane dal loro matrimonio? Sei settimane di felicità maggiore di quanto Stefania avesse creduto possibile: vivere insieme in appartamenti predisposti per loro dalla regina all’interno del castello. C’erano addirittura delle voci che il re stesse pianificando di donare a Tano una nuova proprietà poco fuori città. Per sei settimane erano stati la coppia più ammirata in città, lodati ovunque andassero. Stefania si era goduta quei momenti.

“Ricordati di non prendere Lucio a pugni quando lo vedi stasera,” disse Stefania.

“Finora mi sono trattenuto dal farlo,” rispose Tano. “Non ti preoccupare.”

Stefania era preoccupata invece. Non voleva rischiare di perdere Tano adesso che lo aveva come marito. Non voleva ritrovarselo condannato a morte per aver attaccato l’erede al trono, e non solo per la posizione in cui si sarebbe ritrovata. Magari aveva anche architettato di averlo come marito per il prestigio che ne sarebbe conseguito, ma ora… ora era sorpresa di sentire che lo amava.

“Il principe Tano e sua moglie Stefania!” annunciò l’araldo alla porta, e Stefania sorrise posando la testa sulla spalla di Tano. Le piaceva sempre tantissimo sentirlo dire.

Si guardГІ attorno nella stanza. Per il loro matrimonio era stata decorata di bianco, ma ora brillava di rosso e nero. Il vino nei bicchieri era di un profondo rosso sangue, le tavole da banchetto erano ricoperte di carne cotta al sangue e ogni nobile indossava i colori della nuova luna.

Stefania avanzò al braccio di Tano, analizzando le relazioni, prendendo nota degli ultimi intrighi, anche se le bastava essere guardata. Quella era Christina, che scivolava nell’ombra per parlare con un principe mercante delle Isole Remote? La figlia di Isolde aveva addosso meno gioielli del solito?

Ovviamente vide Lucio che beveva un po’ troppo, mangiava un po’ troppo e adocchiava le donne. Brevemente a Stefania parve che i suoi occhi guizzassero addosso a lei, lo sguardo quello di un uomo che avrebbe garantito guerra se Tano l’avesse visto. Era veramente un peccato che il suo tentativo di avvelenarlo al banchetto nuziale fosse andato storto. Se Tano non l’avesse fatto arrabbiare tanto da fargli spaccare il calice di vino, allora Lucio sarebbe andato a dormire quella sera e non si sarebbe più svegliato. Tutto sarebbe già a posto.

Da allora non c’erano state altre occasioni di occuparsi di lui. La solita gente che avrebbe potuto impiegare era più cauta ora che quello che aveva usato per Lucio era scomparso, e il trucco di un assassinio non era mai il puro atto in sé: si trattava sempre di fare in modo che la gente non sospettasse niente. Semplicemente non c’era mai stata un’occasione di arrivare vicina a Lucio senza che questo fosse ovvio.

“Ah, principe Tano,” disse un uomo dai baffi bianchi avvicinandosi ad entrambi. “Signora Stefania. Siete una coppia così bella!”

Stefania cercò nella sua memoria per ricordare chi fosse quell’uomo, e la risposta arrivò senza sforzo. “Generale Haven, siete troppo gentile. Come sta vostra moglie?”




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